Intervista al Corriere della Sera
di Tommaso Labate
Massimo D’Alema, cinque giorni dopo il voto del 4 marzo 2018, lei aveva affidato a un’intervista al Corriere l’auspicio di un «confronto» tra Pd e M5S. Il governo che sta per nascere è il punto di arrivo della strada che lei aveva tracciato?
«Il M5S, che aveva vinto le elezioni ma non era autosufficiente in Parlamento, aveva individuato nell’alleanza col Pd lo sbocco naturale di quell’impasse. Quella prospettiva si era arenata di fronte alla scelta sbagliata del Pd di chiamarsi fuori e di consentire, quindi, che si formasse una maggioranza parlamentare tra M5S e Lega. Quell’alleanza gialloverde era stata un ripiego; il ribaltone politico di cui molti parlano oggi, in realtà, era avvenuto allora. A causa della scelta del Pd, quindi, si è perso un anno e si è consentito che la destra diventasse molto più forte. Oggi le cose saranno forse più difficili e mi rendo conto che c’è voluto coraggio da parte del nuovo leader del Pd. Ma si è imboccata una strada che era naturale fin dall’inizio. Il primo segnale importante è stato dato votando insieme la presidente della Commissione europea ».
Naturale? Molti, anche nel centrosinistra, pensano che sia l’esatto contrario.
«Ho letto sull’ultimo numero di Quaderni di Rassegna Sindacale che oltre il 50% degli operai e degli impiegati iscritti al sindacato votano per il M5S. Parliamo di un pezzo significativo del nostro mondo che, non trovandole nella sinistra, ha cercato nel M5S le risposte alle esigenze di giustizia sociale, di lotta alle diseguaglianze e ai privilegi. Mi spiega che cosa c’è di innaturale nel tentare di riannodare quel filo che, per colpa del centrosinistra, si era spezzato?».
Renzi aveva disfatto la tela col M5S nel 2018. Lo stesso Renzi ha tagliato il nastro del nuovo cantiere. È così?
«Ho notato un certo cambiamento nelle sue posizioni. Ma mi permetta di non entrare nel dibattito interno al Pd e nelle sfumature tra le posizioni di questo o di quel dirigente. Sono interessato al progetto politico. Quello che si apre oggi è un processo politico difficile, che ha bisogno di una grande discontinuità non solo rispetto al primo governo Conte. Ma anche rispetto ai governi precedenti».
Che erano guidati da esponenti del Pd, Renzi compreso.
«Vedo che ha colto. Il filo con quel pezzo del nostro popolo si era spezzato molto prima che arrivasse la maggioranza gialloverde. Nell’alleanza e nel governo col M5S, oggi, la sinistra deve ritrovare le coordinate che aveva perso. Dobbiamo riuscire a risintonizzare il realismo politico con l’utopia, rimetterci in contatto con quel popolo che avevamo smarrito. E questo vuol dire saper tenere insieme, appunto, l’Europa e la giustizia sociale, un’equa redistribuzione delle risorse e lo sviluppo, la questione ambientale e una globalizzazione più sostenibile. La sinistra non ha saputo prendersi in carico, forse addirittura vedere, il disagio sociale. Questa può essere l’occasione per ritrovare la strada».
Non le sembra eccessivo che le sorti di questo processo politico siano state appese all’esito di una consultazione sul Web?
«Non sono tra quelli che si scandalizzano per il ricorso alla piattaforma Rousseau. Gli accordi politici vengono ratificati dagli organi di partito, il Pd ha la Direzione, il M5S la sua modalità».
Sono due cose molto diverse. In una ci sono le persone in carne e ossa, si vedono, si contano.
«Anche io ho una preferenza per la politica fatta di persone in carne e ossa, per le assemblee. Ma per la Costituzione italiana la Direzione Pd e la piattaforma Rousseau sono la stessa cosa. Infatti non prevede né l’una né l’altra. E poi, mi scusi, anche il Pd affida un grande potere al segretario che elegge chiamando a raccolta chiunque, a prescindere dal fatto che voti per quel partito o per la destra. Mi sembra un meccanismo altrettanto discutibile».
Nell’orizzonte di Pd e M5S ci deve essere un’alleanza anche elettorale? Mi spiego, questo processo politico potrebbe innescare un ritorno al bipolarismo, con un nuovo centrosinistra di qua e la destra di là?
«Io lo spero. Vede, su una cosa i Cinquestelle avevano sbagliato, anche se ovviamente fanno fatica ad ammetterlo. Non è vero, come dicevano, che non esistono né sarebbero più esistite destra e sinistra. Sulla loro pelle, nel corso dell’ultimo anno, hanno sperimentato che la destra esiste, eccome se esiste. Anzi, come ha dimostrato Salvini, la cui sconfitta considero un fatto molto positivo, la destra si è fatta ancora più estremista. Basta guardare a come il problema di qualche migliaio di migranti, che un qualsiasi altro governo avrebbe risolto nel giro di qualche minuto, sia stato trasformato in un’occasione per alimentare odio sociale. Una vera e propria strategia della tensione, per alimentare la sensazione di un’invasione totalmente infondata, a cominciare dai numeri. Ecco, questa è la destra, si vede in modo netto, chiaro. A questa destra deve rispondere un centrosinistra. Per questo andrei cauto nell’approvare di corsa una legge proporzionale; un maggioritario, che favorisca il ritorno al bipolarismo, servirebbe anche a chi, dall’altra parte, sogna il ritorno a un centrodestra moderato, europeo, lontano dal nazionalismo esasperato, dalla negazione della questione ambientale, da quella carica di violenza che accompagna ovunque la destra di oggi».
Conte può essere il «nuovo Prodi»?
«Prodi aveva nel dna quella connotazione della sinistra Dc che da sempre perseguiva l’avvicinamento tra il mondo cattolico e la sinistra. A Conte questo vissuto manca, però ha dimostrato di avere notevoli capacità. L’abbiamo visto guidare il governo gialloverde con visibile difficoltà e imbarazzo. Oggi è diverso. Ho l’impressione che, nel perimetro dell’accordo Pd-M5S, anche culturalmente, Conte si trovi già più a suo agio perché è più vicino alle sue convinzioni, ai suoi valori. Tocca a lui dimostrare di sapere fare sintesi; innanzi tutto, promuovendo un governo che tenga insieme qualità e innovazione».